EVENTI
AGO-SETT
2024
03.08
- 08.09
ALCHIMIE TEMPORALI
Sembra che certi luoghi abbiano conservato le loro energie in una sorta di miracolosa sospensione; così sottile da riuscire ancora a nascondersi, a non pretendere un’identità univoca, restando in equilibrio tra passato e presente.
E ciò che ci è dato sapere, raccontare, o rappresentare su questi luoghi non è che una piccola smagliatura sulla superficie delle cose che li abitano, della forma che sostengono e del passaggio che accettano, il nostro, attraverso la loro pura essenza magica.
Espandi
La torre campanaria di Castellaro Lagusello, col progetto “Una Torre per l’Arte” a cura di Antonella Bosio, è un esempio cardine di luogo magico sospeso nel tempo; infatti il suo fascino non è passato inosservato agli occhi di Erika Tacchella, che è riuscita a creare una sinergia altrettanto seducente con la sua ricerca artistica fatta di certosine sperimentazioni tecniche, di attenti studi emozionali e trasporti del libero pensiero. La mostra “Alchimie temporali” è il connubio di tutte queste pratiche d’arte, e di vita, che prendono la forma di opere: quadri scultorei, disposti tra le mura della Torre.
Erika Tacchella è un’artista visuale con un assodato panorama artistico alle spalle che spazia dalla pittura alla scultura, attorniato da studi approfonditi in ambito delle scienze umane e della psicologia.
Per iniziare a comprendere le opere di Erika Tacchella è necessario sottolineare l’importanza dei luoghi espositivi: è come se opere e ambiente fossero un tutt’uno, perché non si tratta mai d’interventi solo legati allo site-specific, è un continuo rimando fatto di mimesi, parti integrate, o ancora meglio sembra che le opere siano già là, sparse tra pietre e metalli, sull’acqua o nell’aria, in quei materiali sensibili, reattivi, che ci invitano a vedere il resto del reale non rappresentato.
E così si crea un duplice aspetto legato all’intervento dell’artista: osservare e lasciarsi guardare, separare e amalgamare, sospendere e aspettare, senza limiti, escludendo l’idea di completezza o di finito, ma indicando qualcosa che non può essere delimitato: una trasformazione continua data da una curiosità istintuale e l’accettazione dell’imprevedibilità naturale.
I quadri scultorei, disposti lungo tutto il percorso della Torre, sono delle lastre in rame, lavorate con un processo di ossidazione ottenuto attraverso l’uso di reagenti e fuoco; il risultato sono dei lavori parietali che hanno l’eco di archeologie neolitiche.
Le lastre si colorano di macchie turchesi e concrezioni verde cromo, alcuni punti si arricciano e diventano crateri dai quali sbavano delicate colature aranciate: tutto è ruggine, è corrosione, è traccia, è segno di un tempo condensato.
Questi colori alcalini, i segni graffianti, le macchie bruciate sono come stilizzazioni del tempo, nascono andando dietro a certi tratti essenziali nel codice genetico della natura; infatti non hanno una fonte interna (la coscienza) né esterna (la cosiddetta realtà), non sono soggettivi né oggettivi, perché si danno come essenze d’una fissazione momentanea.
L’unico artificio è la volontà, il temperamento, i parametri dell’artista che però devono subito accordarsi al mondo circostante pieno di reazioni fisiche e chimiche, mostrandoci l’inspiegabilità del tempo sotto forma di tracce folli.
Questi quadri scultorei sono forme dell’inconoscibile: non sono figurativismo, tantomeno astrazione, perché spuntano nel momento stesso in cui le percepiamo, e non sarà possibile identificarsi per l’osservatore ma sarà possibile entrare nella condizione filosofica autentica per antonomasia: quella dell’intellezione.
In mostra è presente anche un’installazione processuale, dove si palesa il legame a doppio filo tra l’aspetto temporale e quello alchemico.
Plic! Plic! Plic!
È un suono cadenzato e meditativo, Plic! Plic! Plic!
Ci sono delle sacche che contengono un liquido, questo liquido cade come cadrebbe all’interno di grotte calcaree, o dal soffitto di casa per una perdita nelle tubature condominiali, e impatta su una lastra di metallo, esplodendo in miliardi di microscopiche particelle leggere ma fatali, tanto da lasciare la propria essenza impressa come una Sidone.
“Gocce di vita” è il nome che Erika Tacchella ha dato a questo lavoro dove la meraviglia è racchiusa tutta nell’imprevedibilità di una natura appena forzata, giusto quel tanto per dare la possibilità a noi, esseri troppo momentanei, di osservare quello che solo vite vegetali e minerali hanno usualmente la possibilità di percepire.
L’importanza di porre uno sguardo di questo genere ha un risvolto riflessivo, legato a un’immobilità, a una timidezza, una dolce sensibilità, che solo pietre e piante possono avere nel patire i flussi dell’esterno mondo; infatti non si può leggere quest’opera senza sentire un favore verso la magia naturale e spirituale: non c’è fuga da se stessi ma il restare saldi nello stillicidio di continui attimi presenti che si susseguono.
Nelle alchimie temporali di Erika Tacchella urge la necessità di cogliere ciò che sta per essere cancellato o eroso dalla fuga del tempo, è un modo di creare una memoria del mondo che abbraccia tutto, in particolare quello che pare essere senza splendore, d’altronde le memorie più intime si fondano sui dettagli più ordinari: la parete della cantina screpolata dalla muffa, il corrimano della stazione dei treni aranciato dalla ruggine, la grondaia di casa che non smette di far scivolare piccole quantità di acqua dopo il temporale.
E alla fine capiremo che l’eternità non è altro che questo: il mondo già dato che si ripete, una piegatura del tempo infinito nella nicchia del presente, nelle cose che sono come sono, nell’evidenza che abbiamo sotto gli occhi, quindi: beneficiamone accogliendo tutti gli istanti di vita.
3 AGOSTO 8 SETTEMBRE
2024
ALCHIMIE TEMPORALI
Sembra che certi luoghi abbiano conservato le loro energie in una sorta di miracolosa sospensione; così sottile da riuscire ancora a nascondersi, a non pretendere un’identità univoca, restando in equilibrio tra passato e presente.
E ciò che ci è dato sapere, raccontare, o rappresentare su questi luoghi non è che una piccola smagliatura sulla superficie delle cose che li abitano, della forma che sostengono e del passaggio che accettano, il nostro, attraverso la loro pura essenza magica.
Espandi
La torre campanaria di Castellaro Lagusello, col progetto “Una Torre per l’Arte” a cura di Antonella Bosio, è un esempio cardine di luogo magico sospeso nel tempo; infatti il suo fascino non è passato inosservato agli occhi di Erika Tacchella, che è riuscita a creare una sinergia altrettanto seducente con la sua ricerca artistica fatta di certosine sperimentazioni tecniche, di attenti studi emozionali e trasporti del libero pensiero. La mostra “Alchimie temporali” è il connubio di tutte queste pratiche d’arte, e di vita, che prendono la forma di opere: quadri scultorei, disposti tra le mura della Torre.
Erika Tacchella è un’artista visuale con un assodato panorama artistico alle spalle che spazia dalla pittura alla scultura, attorniato da studi approfonditi in ambito delle scienze umane e della psicologia.
Per iniziare a comprendere le opere di Erika Tacchella è necessario sottolineare l’importanza dei luoghi espositivi: è come se opere e ambiente fossero un tutt’uno, perché non si tratta mai d’interventi solo legati allo site-specific, è un continuo rimando fatto di mimesi, parti integrate, o ancora meglio sembra che le opere siano già là, sparse tra pietre e metalli, sull’acqua o nell’aria, in quei materiali sensibili, reattivi, che ci invitano a vedere il resto del reale non rappresentato.
E così si crea un duplice aspetto legato all’intervento dell’artista: osservare e lasciarsi guardare, separare e amalgamare, sospendere e aspettare, senza limiti, escludendo l’idea di completezza o di finito, ma indicando qualcosa che non può essere delimitato: una trasformazione continua data da una curiosità istintuale e l’accettazione dell’imprevedibilità naturale.
I quadri scultorei, disposti lungo tutto il percorso della Torre, sono delle lastre in rame, lavorate con un processo di ossidazione ottenuto attraverso l’uso di reagenti e fuoco; il risultato sono dei lavori parietali che hanno l’eco di archeologie neolitiche.
Le lastre si colorano di macchie turchesi e concrezioni verde cromo, alcuni punti si arricciano e diventano crateri dai quali sbavano delicate colature aranciate: tutto è ruggine, è corrosione, è traccia, è segno di un tempo condensato.
Questi colori alcalini, i segni graffianti, le macchie bruciate sono come stilizzazioni del tempo, nascono andando dietro a certi tratti essenziali nel codice genetico della natura; infatti non hanno una fonte interna (la coscienza) né esterna (la cosiddetta realtà), non sono soggettivi né oggettivi, perché si danno come essenze d’una fissazione momentanea.
L’unico artificio è la volontà, il temperamento, i parametri dell’artista che però devono subito accordarsi al mondo circostante pieno di reazioni fisiche e chimiche, mostrandoci l’inspiegabilità del tempo sotto forma di tracce folli.
Questi quadri scultorei sono forme dell’inconoscibile: non sono figurativismo, tantomeno astrazione, perché spuntano nel momento stesso in cui le percepiamo, e non sarà possibile identificarsi per l’osservatore ma sarà possibile entrare nella condizione filosofica autentica per antonomasia: quella dell’intellezione.
In mostra è presente anche un’installazione processuale, dove si palesa il legame a doppio filo tra l’aspetto temporale e quello alchemico.
Plic! Plic! Plic!
È un suono cadenzato e meditativo, Plic! Plic! Plic!
Ci sono delle sacche che contengono un liquido, questo liquido cade come cadrebbe all’interno di grotte calcaree, o dal soffitto di casa per una perdita nelle tubature condominiali, e impatta su una lastra di metallo, esplodendo in miliardi di microscopiche particelle leggere ma fatali, tanto da lasciare la propria essenza impressa come una Sidone.
“Gocce di vita” è il nome che Erika Tacchella ha dato a questo lavoro dove la meraviglia è racchiusa tutta nell’imprevedibilità di una natura appena forzata, giusto quel tanto per dare la possibilità a noi, esseri troppo momentanei, di osservare quello che solo vite vegetali e minerali hanno usualmente la possibilità di percepire.
L’importanza di porre uno sguardo di questo genere ha un risvolto riflessivo, legato a un’immobilità, a una timidezza, una dolce sensibilità, che solo pietre e piante possono avere nel patire i flussi dell’esterno mondo; infatti non si può leggere quest’opera senza sentire un favore verso la magia naturale e spirituale: non c’è fuga da se stessi ma il restare saldi nello stillicidio di continui attimi presenti che si susseguono.
Nelle alchimie temporali di Erika Tacchella urge la necessità di cogliere ciò che sta per essere cancellato o eroso dalla fuga del tempo, è un modo di creare una memoria del mondo che abbraccia tutto, in particolare quello che pare essere senza splendore, d’altronde le memorie più intime si fondano sui dettagli più ordinari: la parete della cantina screpolata dalla muffa, il corrimano della stazione dei treni aranciato dalla ruggine, la grondaia di casa che non smette di far scivolare piccole quantità di acqua dopo il temporale.
E alla fine capiremo che l’eternità non è altro che questo: il mondo già dato che si ripete, una piegatura del tempo infinito nella nicchia del presente, nelle cose che sono come sono, nell’evidenza che abbiamo sotto gli occhi, quindi: beneficiamone accogliendo tutti gli istanti di vita.
OTTOBRE
2023
14 - 19
VITE
arte - scultura - luce
Quante sono le vite? Viviamo una sola vita o ne tocchiamo mille altre?
E la nostra, dove la collochiamo? Qui, ora, in questo tempo, in questo luogo…
In seguito ad uno studio approfondito su Porta Palio Erika Tacchella, artista veronese autodidatta, curiosa, versatile e sperimentatrice, scopre la natura arcaica di questo posto e lo percepisce come un’ oasi ristoratrice, fonte di vita e di sacralità rituale, fortemente connessa all’elemento acqua.
Espandi
La sua è un’ esperienza illuminante che con attenta ricerca e studio la conduce a realizzare un percorso, assieme a Daniele Riva, progettista con interesse all’architettura delle forme e dell’anima, amico di idee e prospettive, dedicandolo alle Vite. Dal convenzionale al non convenzionale è il passaggio di Erika in quest’ultimo anno che, per questa esposizione, lavora con l’elemento metallico, materia che rappresenta la forza e la magnificenza del luogo che la ospita.
“Non posso fare altrimenti…ho bisogno di esprimere il mio pensiero attraverso il metallo, solo così posso onorare il luogo che mi ospita.” queste le sue parole al primo contatto fisico e viscerale con Porta Palio, importante monumento della sua città natale, Verona. Ne consegue la nascita del progetto focalizzato sulla vita e sul suo divenire.
La mostra prevede una triplice espressione artistica: La prima, le opere materiche, quadri in rame nati dall’ossidazione attraverso reagenti e fuoco; il risultato di questa interazione rappresenta l’acqua, che con il passare del tempo infonde ai metalli una coloristica particolarmente carica di fluttuante emozione.
La seconda, l’opera luminosa, sospesa e realizzata in ferro, raffigurante una pianta di vite intrecciata a plasmare il cerchio della vita; una luce corre lungo la forma circolare, una sorta di magnetico passaggio nell’infinito. L’artista prese ispirazione dall’espressione magica dello scrittore Tolkien: “le radici profonde non gelano”. L’opera infatti espande le sue lunghe radici comunicando forza, stabilità e resistenza.. Il cerchio rappresenta il ciclo vitale, con l’inizio, il percorrere, la fine.
La terza, le opere sculture, nate la terra, una serie di colonne realizzate da Daniele Riva, raffiguranti lo sbocciare della vita attraverso il simbolismo del fiore di loto cristallizzato. L’attenzione è alla sotterranea radice, che infonde nutrimento vitale portando alla fioritura, metafora del processo di introspezione nell’anima umana che porta all’apertura verso l’essenza stessa della vita.
14 - 19 OTTOBRE 2023
VITE
arte - scultura - luce
Quante sono le vite? Viviamo una sola vita o ne tocchiamo mille altre?
E la nostra, dove la collochiamo? Qui, ora, in questo tempo, in questo luogo…
In seguito ad uno studio approfondito su Porta Palio Erika Tacchella, artista veronese autodidatta, curiosa, versatile e sperimentatrice, scopre la natura arcaica di questo posto e lo percepisce come un’ oasi ristoratrice, fonte di vita e di sacralità rituale, fortemente connessa all’elemento acqua.
Espandi
La sua è un’ esperienza illuminante che con attenta ricerca e studio la conduce a realizzare un percorso, assieme a Daniele Riva, progettista con interesse all’architettura delle forme e dell’anima, amico di idee e prospettive, dedicandolo alle Vite. Dal convenzionale al non convenzionale è il passaggio di Erika in quest’ultimo anno che, per questa esposizione, lavora con l’elemento metallico, materia che rappresenta la forza e la magnificenza del luogo che la ospita.
“Non posso fare altrimenti…ho bisogno di esprimere il mio pensiero attraverso il metallo, solo così posso onorare il luogo che mi ospita.” queste le sue parole al primo contatto fisico e viscerale con Porta Palio, importante monumento della sua città natale, Verona. Ne consegue la nascita del progetto focalizzato sulla vita e sul suo divenire.
La mostra prevede una triplice espressione artistica: La prima, le opere materiche, quadri in rame nati dall’ossidazione attraverso reagenti e fuoco; il risultato di questa interazione rappresenta l’acqua, che con il passare del tempo infonde ai metalli una coloristica particolarmente carica di fluttuante emozione.
La seconda, l’opera luminosa, sospesa e realizzata in ferro, raffigurante una pianta di vite intrecciata a plasmare il cerchio della vita; una luce corre lungo la forma circolare, una sorta di magnetico passaggio nell’infinito. L’artista prese ispirazione dall’espressione magica dello scrittore Tolkien: “le radici profonde non gelano”. L’opera infatti espande le sue lunghe radici comunicando forza, stabilità e resistenza.. Il cerchio rappresenta il ciclo vitale, con l’inizio, il percorrere, la fine.
La terza, le opere sculture, nate la terra, una serie di colonne realizzate da Daniele Riva, raffiguranti lo sbocciare della vita attraverso il simbolismo del fiore di loto cristallizzato. L’attenzione è alla sotterranea radice, che infonde nutrimento vitale portando alla fioritura, metafora del processo di introspezione nell’anima umana che porta all’apertura verso l’essenza stessa della vita.
MARZO
2019
09
VISIONE DONNA
Opera realizzata sulle parole di una grande donna...
“Nella vita non bisogna mai rassegnarsi,arrendersi alla mediocrità bensì uscire da quella zona grigia in cui tutto è abitudine e rassegnazione passiva bisogna… COLTIVARE IL CORAGGIO DI RIBELLARSI”
Rita Levi Montalcini
Espandi
Rita Levi Montalcini mi ha ispirata con le sue parole che ho trovato di un’attualità inequivocabile, lei è uscita dal grigio combattendo con tenacia, per seguire i suoi sogni ed onorare le sue capacità, in un momento storico dove le donne non erano considerate per diversi ruoli professionali, lei infatti fu la prima donna ammessa all’università scientifica. La prima parte dell’opera è realizzata su una tela bianca dove ho stampato a mano ogni lettera in bianco e nero, un metodo ripetitivo senza colori che rappresenta l’inizio della citazione. La seconda parte invece è un esplosione di colori come la pulsione che mi trasmette ogni volta che leggo “coltivare il coraggio di ribellarsi” , dove le parole sono collegate alla Terra da dei semplici fili di lana, quasi a diventarne radici. Le parole tramutano, non rimangono più sospese pronte a volare via, si concretizzano. Questo è anche il mio augurio che i desideri si realizzino, che i talenti prendano una forma, che le passioni vengano seguite col cuore.
09 MARZO 2019
VISIONE DONNA
Opera realizzata sulle parole di una grande donna...
“Nella vita non bisogna mai rassegnarsi,arrendersi alla mediocrità bensì uscire da quella zona grigia in cui tutto è abitudine e rassegnazione passiva bisogna… COLTIVARE IL CORAGGIO DI RIBELLARSI”
Rita Levi Montalcini
Espandi
Rita Levi Montalcini mi ha ispirata con le sue parole che ho trovato di un’attualità inequivocabile, lei è uscita dal grigio combattendo con tenacia, per seguire i suoi sogni ed onorare le sue capacità, in un momento storico dove le donne non erano considerate per diversi ruoli professionali, lei infatti fu la prima donna ammessa all’università scientifica. La prima parte dell’opera è realizzata su una tela bianca dove ho stampato a mano ogni lettera in bianco e nero, un metodo ripetitivo senza colori che rappresenta l’inizio della citazione. La seconda parte invece è un esplosione di colori come la pulsione che mi trasmette ogni volta che leggo “coltivare il coraggio di ribellarsi” , dove le parole sono collegate alla Terra da dei semplici fili di lana, quasi a diventarne radici. Le parole tramutano, non rimangono più sospese pronte a volare via, si concretizzano. Questo è anche il mio augurio che i desideri si realizzino, che i talenti prendano una forma, che le passioni vengano seguite col cuore.